Mi capita spesso di ascoltare nella stanza di terapia persone rammaricate all’idea di non essere coerenti con sé stesse o che invece accusano gli altri di non essere coerenti.
Essere riconosciuti come persone coerenti così come essere circondati da persone coerenti rappresenta un porto sicuro.
La persona coerente, infatti, per il senso comune, rimanendo ferma nelle sue idee e scelte, non riserva sorprese, non tradisce le aspettative che su di lei si ripongono, è degna di fiducia.
Con orgoglio ci definiamo coerenti quando continuiamo a perseguire in modo ostinato qualcosa per il solo fatto che tempo prima lo si è deciso, senza tenere conto dei cambiamenti che nel frattempo possono essere avvenuti (“avrò pure sbagliato ma almeno sono stato coerente"), o ci arrabbiamo con chi riconosciamo come "incoerente" perché non è stato fedele con quello che ci aveva fatto credere e ci disorienta.
Ma siamo sicuri che restare immutabili e fedeli a sé stessi, o all’immagine che si è data di sé, nonostante l’incessante mutevolezza e complessità delle esperienze a cui andiamo incontro, rappresenta qualcosa da perseguire?
E se ci nascondessimo dietro questa idea monolitica di coerenza per evitare di scoprire di essere persone diverse da quelle che pensavamo di essere?
Coerenza deriva dal latino "cum haerere", tenere insieme; si è coerenti non quando si agisce sulla base di quello che si è sempre fatto in passato, non quando ripetiamo noi stessi ma quando teniamo conto dell’insieme.
Si può mantenere salda la propria identità pur considerando tutti gli elementi in campo, può accadere che quello che prima aveva un senso per la nostra persona ora non ci torna più, essere disponibili a riconsiderare; riuscire a tenere un filo conduttore che può tenere insieme parti diverse, un processo di contrattazione che va rinnovato ogni giorno.
Forse la vera coerenza è avere il coraggio di considerare aspetti diversi di sé che possono coesistere.
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